Il caso dello studioso seducente
I misteri di Middlemark (Libro 1)
Il dottor Llewellyn Lewis ha una doppia vita: è allo stesso tempo un impacciato ma stimato professore di storia e l’appariscente Ramon Rondell, famigerato autore di sensazionalistiche teorie storiche. Ramon è il primo a mettere gli occhi su un irresistibile ballerino in un club, ma tocca a Llewellyn incontrare l’assistente universitario Blaise Arthur in un’occasione formale: la cena in onore di Anne de Vere, una discendente di Edward de Vere, diciassettesimo Conte di Oxford, sospettato da alcuni di essere il vero Shakespeare. Anne vuole che Llewellyn dimostri questa teoria, sebbene molti abbiano già tentato di farlo senza risultato, ed è pronta a fare una generosa donazione alla Middlemark University in caso di successo.
Per Llewellyn questa potrebbe anche essere l’occasione giusta per conoscere meglio Blaise.
Non tutti pensano che Llewellyn debba accettare l’incarico o il denaro. Tra fratelli in lite, mecenati rivali, colleghi gelosi e avidi amministratori, chiunque potrebbe tentare di sabotare la sua ricerca… e qualcuno è anche disposto a uccidere per riuscirci.
Quando Anne de Vere viene trovata morta, la polizia sospetta che sia Blaise l’assassino, e soltanto il timido, balbuziente professore che ha conquistato il suo cuore potrà provare il contrario…
Formati disponibili: eBook
Informazioni sul libro
Data di pubblicazione 7 maggio 2019
Edito da Dreamspinner Press
Conteggio parole 66.647
Formati disponibili
eBook (ISBN978-1-64405-485-7)
Copertina di Kanaxa
Traduzione di Cristina Massaccesi
Edizione originale The Case of the Sexy Shakespearean by Tara Lain
Per l’acquisto
Formati disponibili: eBook
What People Are Saying
Buongiorno lettori, Lara ci parla de “Il caso dello studioso seducente”, il primo volume suspense della serie “I misteri di Middlemark” dell’autrice Tara Lain uscito oggi con Dreamspinner Press in Italiano. Una storia di misteri e segreti piccoli e grandi. Una serie di eventi e imprevisti che portano il caos più totale nella vita tranquilla e protetta del dottor Lewis. Una storia adorabile e deliziosa.
Un libro degno dei migliori gialli, una lettura splendida, che mi ha lasciato a bocca aperta e mi ha sorpreso con il suo finale.
In short, this story does not lack anything at all: it is well written, flowing, full of twists, with hot scenes without transcending excessive eroticism, but above all with a protagonist with a disarming innocence that will conquer everyone.
Estratto
LA MUSICA scorreva nelle sue vene come vino – come libertà – e Ramon piegò la testa all’indietro lasciando che una ciocca di capelli gli sfiorasse le spalle mentre ballava. Uno dei suoi partner, uno stallone pieno di muscoli e con il collo tatuato, si chinò su di lui per baciarlo su una guancia. Ramon si allontanò ridendo. A tutti piace avere un’illusione e io sono la sua.
Per non essere da meno, la biondina che era saltata in pista per ballare con Ramon si appoggiò con il seno contro la sua schiena. Povera piccola, aveva calcolato male il suo obiettivo, ma Ramon le diede un piccolo colpo di sedere e la ragazza si mise a ridacchiare.
La musica finì di colpo e Ramon fece un inchino ai suoi partner. Avevano entrambi l’aria di chi avrebbe gradito un secondo atto di qualche tipo, ma Ramon li salutò toccando la tesa di un cappello immaginario e si avviò verso il bar, dove quel bel tipo dai capelli argentati gli aveva promesso di tenergli un posto da parte. Ramon non usciva spesso. E solo di rado si sentiva abbastanza a suo agio da poter uscire e farsi vedere in pubblico. Aveva bisogno di tutte le reazioni positive possibili, in modo da poterle incamerare e utilizzarle come carburante fino alla sua prossima apparizione.
Come c’era da aspettarsi, Volpe Argentata era seduto al bar e lo guardava con sincera ammirazione e con una gamba avvolta da un pantalone molto costoso poggiata su uno sgabello vuoto. Ramon gli sorrise. “Per me?”
Volpe Argentata ridacchiò a voce bassa. “Lo spero proprio, altrimenti ho rischiato di perdere gamba e ginocchio tre volte per nulla.” Rimosse la gamba con grazia e Ramon scivolò sullo sgabello, afferrando la birra artigianale ghiacciata che il barista aveva appoggiato sul bancone durante la sua assenza. Ramon storse il naso. Ah, sa di lievito. Scansò i capelli dagli occhi muovendo appena la testa e spinse il bicchiere verso quell’orso del barista. “Tesoro, questa birra è orrenda. Portami un bicchiere di champagne, per favore.” Si girò sullo sgabello verso la folla, in direzione di un muro di gente che si era creato fra lui e la pista da ballo. Tutti applaudivano e fischiavano, come se stessero guardando una gara di wrestling con i lottatori unti d’olio.
Un ragazzo piuttosto giovane con gli occhi scuri vagamente spiritati si separò dalla folla per avvicinarsi a lui, lo sguardo fisso sul pavimento. Un po’ carino, un po’ no. Il ragazzo lo guardò attraverso ciglia coperte di mascara. “Mi scusi, lei è Ramon Rondell, per caso?”
Ramon si accigliò e si guardò intorno con sospetto, cercando, però, di assumere il più rapidamente impossibile un’espressione gradevole. “Dove ha scovato questa informazione?”
“Oh, l’ho vista entrare e ho chiesto al buttafuori. Mi ha detto che si chiama Rondell. Un po’ ci speravo. Sono un suo grande fan.” Scrollò le spalle e allungò un tovagliolo e una penna. “Posso chiederle un autografo?”
“E se non fossi Ramon Rondell?”
Il ragazzo sorrise. “Lei è così bello che mi accontenterei comunque.”
Ramon gli lanciò un’occhiata. Beccato. Ma che male c’è? Scoppiò a ridere e scarabocchiò il suo nome sulla carta sottile.
Il ragazzo guardò la firma come se avesse appena ricevuto fra le mani una prima edizione originale di Tom Sawyer. “Sono un suo grande ammiratore.”
“Mi fa piacere sentirlo.” Si rigirò verso la birra.
“Ha intenzione di scrivere un libro sulla vera identità di Jack lo Squartatore? Può provare che era un membro della famiglia reale inglese, vero?” La voce del ragazzo sembrava particolarmente eccitata.
Il radar interno di Ramon, quello che identificava i pazzi al volo, cominciò a lampeggiare e lui scosse la testa. “Ne dubito. I documenti di quel periodo sono numerosi. Tutti pensano di avere una teoria vincente, ma trovare nuove informazioni è difficile, forse addirittura impossibile. Confesso di non credere in una connessione con la famiglia reale. È più probabile che Jack lo Squartatore fosse un povero squilibrato che odiava le donne e che ne ha uccise cinque di seguito prima di morire o di finire in prigione.” Scrollò le spalle. “Ma onestamente, a nessuno interessa sentire una teoria del genere, perciò non credo proprio che me ne occuperò.” Sorrise per addolcire il colpo e si girò di nuovo.
Il ragazzo gli lanciò un’occhiataccia. “E così non ha alcuna intenzione di provare che quei bastardi pieni di soldi usavano quelle povere donne come cavie? Avanti, non può tirarsi indietro. Può inchiodarli.”
Santa pazienza. “Be’, ognuno di noi deve arrivare alle proprie conclusioni. La ringrazio di seguire il mio lavoro e di essersi fermato a salutarmi.” Si girò verso il bar dando le spalle al giovane. Purtroppo, occuparsi di misteri storici poteva attrarre appassionati di teorie del complotto e squinternati vari. Faceva parte del gioco.
Il barista gli diede il bicchiere di champagne e Ramon fece per prendere il portafogli, ma Volpe Argentata gli mise una mano sull’avambraccio. “Permettimi.” Lasciò un paio di banconote da venti dollari al barista.
Ramon sollevò un sopracciglio guardando la mano sul suo braccio e l’uomo la tolse subito. Era decisamente un tipo affascinante, sulla cinquantina e portava capi d’abbigliamento costosi. Eppure… “Sei gentile, ma ho soltanto il tempo di bere lo champagne e poi temo proprio che dovrò volare via.” Bevve un lungo sorso. Molto meglio della birra.
L’uomo si appoggiò sulla mano e si sporse verso Ramon con uno sguardo pieno di desiderio. “Non posso persuaderti a volare fino al mio nido?”
La frase gli fece inarcare le sopracciglia. “Anche se fossi quel genere di ragazza, domattina devo alzarmi presto.”
“Che peccato. Non ti ho mai visto qui prima d’ora e, credimi, mi sarei ricordato di te.”
Ramon annuì. “No, hai ragione. Non vengo spesso.” Soprattutto perché il posto era a quattro ore di distanza dalla sua vera vita, ma non c’era bisogno di spiegarglielo.
“Ancora peggio. Forse posso convincerti a ritornare presto?” Volpe Argentata sorrise con dolcezza. “Almeno per scoprire se sei quel genere di ragazza.” Gli porse la mano. “Comunque, mi chiamo Martin.”
Ricambiò la stretta di mano. “Ramon.”
“Mi pare di capire che sei famoso, o quantomeno hai un ammiratore particolarmente ardente.”
Ramon fece una smorfia. “Soltanto un po’. Scrivo articoli e gestisco un blog piuttosto conosciuto.”
“Darò un’occhiata online. Cosa devo cercare?”
“Ramon Rondell.” Finì lo champagne. “Adesso devo proprio andare.” Si girò sullo sgabello… e rimase paralizzato. Martin stava dicendo qualcosa, ma la sua voce sembrava arrivare da molto lontano. La folla sulla pista da ballo si era separata e Ramon vide quello che stavano guardando tutti con entusiasmo.
Una coppia di uomini che ballava.
No, anzi, c’era un uomo che ballava e che forse aveva un partner da qualche parte. Il giovane ballerino era alto, oltre il metro e ottanta, con un corpo super-sottile che si muoveva come fosse fatto di gomma. Tranne che per il sedere. Dio santo, si trattava del più perfetto, sodo, atletico fondoschiena mai visto, con due fossette irresistibili ai lati che si intravedevano persino attraverso i jeans. L’unica cosa ancora più perfetta di quelle natiche d’acciaio era il viso magico del ragazzo: luminoso e brillante, con occhi dalle lunghe ciglia che si illuminavano quando rideva, due fossette in cui si sarebbero potute appuntire delle matite, e un velo di rossore che colorava quelle bellissime guance. I capelli biondi gli ricadevano sulla fronte e li spostò indietro facendo sembrare anche il gesto calcolato di Ramon un manierismo da principiante. Era assolutamente meraviglioso, ma c’era dell’altro. Quell’uomo aveva un’energia, un carisma che catturava e tratteneva ogni sguardo e una maniera di sorridere e piegare la testa che sembrava dire Non prendetemi troppo sul serio.
“Ti piace?”
La voce gli era arrivata da dietro le spalle e Ramon si girò. “Come, scusa?”
Martin osservava il ballerino con distacco. “È il tuo tipo? Il tipo per cui saresti ‘quel genere di ragazza’?”
A quella domanda, Ramon si sentì percorso da un piccolo brivido. “Ero interessato al suo stile di ballo.”
“Certo.” Martin lo guardò con un sorrisetto sardonico. “Sono sicuro che saprebbe spostarsi in posizione orizzontale molto velocemente.”
Ramon infilò una mano in tasca, prese la prima banconota capitata sotto tiro e mise cinquanta dollari sul bancone del bar. “Mi piace il ballo. Paga il barista per me, ok?” Girò sui tacchi e tagliò dietro la pista da ballo e la folla di osservatori per raggiungere l’ingresso. Lo strano tipo che gli aveva chiesto un autografo era appoggiato contro il muro in un angolo. I suoi occhi incontrarono quelli di Ramon e lo guardarono con astio e quasi, anche se poteva sembrare strano pensarlo, con cattiveria. Il tizio, però, non si mosse. Grazie al cielo.
Con un veloce sguardo dietro le spalle per accertarsi di non essere seguito da ammiratori arroganti, Ramon scivolò attraverso la porta d’ingresso e fece una corsetta fino al parcheggio sul retro del locale dove aveva lasciato la macchina.
Si accovacciò dietro un SUV per sbirciare l’ingresso del parcheggio. Nessuno. Anche l’addetto sembrava essere altrove. Bene. Corse rapidamente verso la Volvo grigia, aprì la portiera da qualche passo e si infilò dietro al volante. Chiuse lo sportello e diede un’altra occhiata attraverso i vetri oscurati. Il parcheggio era illuminato dalla luna, ma non si muoveva nulla.
Fece un lungo sospiro. Che diavolo mi è venuto in mente? Martin avrebbe potuto benissimo lavorare all’università. Come quel pazzo con le sue teorie complottiste. E se uno dei due mi avesse riconosciuto? Doveva ritirare Ramon dalla vita pubblica, ma l’idea lo faceva soffrire. In fondo, Ramon non faceva molte apparizioni in pubblico e cercava ogni volta di avere un look diverso. E poi quelle uscite erano divertenti, dannazione.
Con un verso irritato, si tolse la parrucca nera e la calotta che aveva messo sotto e li lanciò in una borsa di tela sul sedile accanto prima di far passare le mani tra i suoi corti capelli castani così ordinari. Così ordinari. Quelle parole descrivevano un sacco di cose. Abbassò l’aletta parasole per usare lo specchietto e rimuovere le ciglia finte, che finirono in un contenitore di plastica preso dalla borsa. Poi strinse gli occhi per togliersi le lenti a contatto azzurre che usava per camuffare i suoi insignificanti occhi marroni. Un po’ di lozione struccante rimosse lucidalabbra, mascara e fondotinta. Vorrei tanto avere il coraggio di buttare tutta questa roba nella spazzatura e piantarla con queste mascherate. Ramon può continuare a scrivere senza apparire in pubblico. Ma l’idea di mandare Ramon in pensione gli dava un senso di nausea, come se gli toccasse rinunciare alla gioia.
Si tolse le scarpe che lo alzavano di qualche centimetro e che indossava solo per scena, visto che era già molto alto. Poi si sfilò i pantaloni di pelle attillati, prese i pantaloni di cotone che aveva nella borsa e li tirò su con facilità, visto che gli stavano larghi intorno alla vita snella. Infilarsi in quei pantaloni sembrava come tornare a casa. Sollevato, si mise le stringate marroni e un cardigan sopra la maglietta – avrebbe dovuto bastargli fino a che non fosse stato solo. Infine, mise una pila di libri sul sedile del passeggero sopra alla borsa di tela. Pronto.
Guardò di nuovo nello specchietto. Chi ti credi di essere, stronzo? Risposta facile. Un secchione alto, goffo e bruttino. Troppo secchione per poter essere amato.
Fece partire la macchina e il rombo del motore della Volvo gli vibrò attraverso il corpo come se ne stesse risistemando le cellule. Il grigio della macchina lo avvolse come una nuvola e gli fece fare un sospiro. Il cuore perse un battito e gli occhi si mossero velocemente da un lato all’altro.
Un minuto dopo, il dottor Llewellyn Lewis della Middlemark University guidò la sua Volvo fuori dal parcheggio, fermandosi un attimo per guardare il traffico in arrivo.
L’ombra scura di una persona nei pressi dell’edificio vicino attirò la sua attenzione. Chi poteva essere?
Quando si aprì un varco fra le macchine, spinse sull’acceleratore e si immise in strada. Scuotendo la testa, disse: “H-ho sentito f-fin troppe c-complotti.” Perché proprio tu, fra tutti, dovresti spaventarti vedendo un’ombra? Specialmente così lontano da casa.
Llewellyn guidò con calma lungo l’autostrada, in direzione sud, e si preparò per il lungo viaggio per tornare a San Luis Obispo e alla sua vera vita. Ramon Rondell poteva andare in letargo.
“BUONGIORNO, DOC.” L’assistente di Llewellyn, Maria Conchita Gonzalez, alzò gli occhi dal computer sorridendo. “Passato un fine settimana pazzo e selvaggio?”
Il rossore partì immediatamente, salendogli lungo il collo e facendogli bruciare le guance. Oddio, come lo odiava. “Be’…”
Maria alzò il suo fisico splendidamente florido dalla sedia dietro alla scrivania e si piazzò le mani sui fianchi avvolti nel denim. “Ehi, capo, credevo che avessimo superato la fase del rossore. Non siamo amici?”
“S-sì.” Come molti attori, era in grado di nascondere la propria balbuzie solo quando era sul palcoscenico. Quando non indossava la pelle di Ramon, tartagliare rendeva tutto più difficile e deprimente.
“Avanti, non c’è motivo di essere timido con me.” Gli puntò un dito in faccia. “Uno: sono la sua più grande ammiratrice.” Era incredibile ma vero. Quando aveva fatto domanda per quel lavoro, aveva dimostrato una memoria quasi fotografica di ogni sua pubblicazione accademica.
“Due: non mi importa se il suo weekend selvaggio è stato trovare un nuovo tipo di cibo per gatti o appendersi nudo per i piedi al lampadario del salone. Ognuno può vivere come vuole, se non fa del male agli altri.”
“L-la t-tua opinione rappresenta una m-minoranza di p-persone.” Le sorrise comunque.
Maria incrociò le braccia sul petto. “Be’, non dovrebbe.”
“E comunque, n-non credo c-che il mio lampadario m-mi sosterrebbe.”
La ragazza rise guardandolo con attenzione. “Avanti, Doc, lei ha un fisico da modello.” Tornò alla sua sedia e poi lo squadrò attraverso le ciglia, come un paffuto folletto ispanico. “Se dovesse decidere di fare una prova con il lampadario, si ricordi di invitarmi. Sono sicura che ci siano molti tesori nascosti sotto quei pantaloni di cotone.”
Llewellyn arrossì di nuovo, ma questa volta Maria scoppiò a ridere. “A proposito, il grande capo vuole vederla. Il prima possibile,” aggiunse facendo le virgolette nell’aria.
“C-che cosa vuole?”
“Immagino farle perdere tempo con qualche stupidaggine politica, ma non si è consultato con me.”
Llewellyn si girò verso la porta. “Doc, perché non lascia prima le sue cose?” gli disse Maria indicando la sua vecchia borsa e il cardigan che portava anche se la giornata autunnale era calda. Il tempo poteva sempre cambiare. “Si metta comodo. Il grande capo sarà ancora qui a borbottare come al solito. Qualche minuto non farà differenza.”
Llewellyn annuì ed entrò nel suo piccolo ufficio buio. Maria si lamentava sempre perché il suo tavolo era in un posto più luminoso e spazioso dell’ufficio di Llewellyn, ma a lui non importava. L’oscurità poteva essere confortevole. Da quando era riuscito a scrollarsi di dosso parecchi dei suoi impegni da insegnante in favore della ricerca e delle pubblicazioni, quella specie di caverna tetra era diventata il suo santuario. Leggere di più. Parlare di meno. Poggiò la borsa accanto al tavolo ed estrasse il portatile. Il suo tesoro. Lo appoggiò con attenzione sulla vecchia scrivania e lo collegò alla presa elettrica, poi uscì velocemente dall’ufficio. “P-puoi dare un’occhiata…”
“Nessun problema, capo. Ci penso io.” Si guardarono sorridendo. Maria era stata una scoperta fantastica: efficiente, brillante, piena di talento e così apertamente dalla sua parte da essere quasi imbarazzante. Quasi. Non faceva spesso cose per sé stesso, ad eccezione di Ramon, ovvio, ma assumere Maria era stato un gesto ribelle di espressione della personalità.
“A f-fra…”
Il sorriso tutto fossette e lo sguardo di Maria sembravano dire: Starò qui seduta, pronta ad ascoltare qualsiasi cosa abbia da dirmi, non importa quanto ci vorrà e sa che sono sempre tre passi avanti a tutti.
Llewellyn le sorrise e corse via dall’ufficio. Sì, doveva parlare lentamente, ma sapeva camminare in fretta quando gli serviva.
Incontrò vari colleghi mentre attraversava i lunghi e poco illuminati corridoi della facoltà. Su quel piano c’erano per lo più uffici di professori e di altri membri dello staff e nessuna classe. Il professor Dingleton, l’unico uomo sulla terra che, a detta di Maria, riusciva a rendere la storia francese noiosa e priva di romanticismo, lo salutò con la sua tipica aria ufficiosa. “Lewis.”
Llewellyn annuì e continuò a camminare. Dietro l’angolo c’era il cosiddetto Vicolo Mogano, gli uffici più ambiti che ospitavano i pezzi grossi del dipartimento. Llewellyn avrebbe potuto richiedere uno di quegli uffici grazie alle sue credenziali accademiche, ma tutta quella visibilità lo turbava.
Superò due uffici e bussò alla porta del professor Abraham ‘Non-chiamatemi-Abe’ Van Pelt, capo del dipartimento di Storia.
“Entrate.” Van Pelt aveva decisamente imparato quella risposta da qualche film.
Llewellyn aprì la porta. “P-professore.”
“Avanti, dottor Lewis.” Indicò una delle fin troppo virili sedie di pelle di fronte alla sua scrivania. Gli accessori scelti dal professor Van Pelt – le sedie che si abbinavano alle toppe di pelle sui gomiti delle giacche, la pipa che non accendeva mai, i rivestimenti e le anatre in legno che non si usavano per arredare un ufficio dal 1850 – rivelavano più il tipo di persona che il buon professore avrebbe voluto essere che ciò che l’uomo basso, paffuto e incline alla calvizie era davvero.
Llewellyn si sedette. Lo faceva sempre sorridere in segreto il fatto che Van Pelt alzasse la sua sedia finché probabilmente il bordo della scrivania non gli incideva le cosce e che facesse sedere i suoi ospiti su sedie molto basse per rendere le loro altezze quasi uguali. Certo, riuscire a dissimulare il suo snello metro e ottantacinque non era una cosa facile. Llewellyn non disse nulla. Sapeva che la sua balbuzie rendeva Van Pelt nervoso.
“Dottor Lewis, oh, Llewellyn, questo giovedì, io e alcuni altri membri della facoltà di Storia e del dipartimento di Inglese incontreremo per cena alcuni potenziali benefattori per i nostri programmi di laurea. Si tratta di persone molto ricche e interessate a contribuire alle nostre attività di ricerca. Non devo essere io a dirle quanto siano importanti per noi. Non è facile trovare persone disposte a finanziare qualcosa che non sia la ricerca medica o la caccia agli alieni.” Ridacchiò anche se non sembrava essere una reazione spontanea. “Vorrei che lei venisse alla cena.”
“C-come?” Llewellyn quasi si alzò dalla sedia e poi si sedette di botto quando gli occhi del professore si spalancarono spaventati. Van Pelt lo conosceva bene. Llewellyn riusciva a gestire qualche lezione quando doveva, e persino qualche riunione di dipartimento, ma una cena per assicurarsi dei fondi? Dio santo, il solo pensiero lo faceva stare male.
Van Pelt alzò una mano per tranquillizzarlo. “Lo so. Lo so. Ma uno dei potenziali donatori è una grande ammiratrice del suo lavoro e verrà alla cena solo a patto che ci sia anche lei. Come può immaginare, non vorremmo… disturbarla con questa richiesta, ma dobbiamo proprio farlo. Anzi, devo assolutamente insistere che lei accetti di partecipare alla cena di giovedì sera.”
Il tremore allo stomaco era già cominciato. Inspirò profondamente per cercare di controllarlo. “N-no. M-meglio di n-no.”
Il professor Van Pelt fece un sospiro. “Santo cielo, Llewellyn, non crede che lo sappia benissimo anche io? Ho dovuto assumere due assistenti extra solo per gestire le sue lezioni, ma questa donna è importante e ha insistito che lei venga alla cena. Si rifiuta di parlare con chiunque altro. Per il bene del dipartimento, devo proprio insistere.” Si alzò in piedi, segno che doveva essere davvero arrabbiato, visto che raramente metteva in mostra il suo metro e sessanta scarso. “Mi dispiace, ma non c’è nulla da discutere.”
Llewellyn si alzò, senza incontrare lo sguardo del professore, e raggiunse la porta.
“Le manderò i dettagli via e-mail.”
Llewellyn continuò a camminare fino all’ingresso laterale dell’edificio. Con profonde inspirazioni, uscì sul piccolo portico e si appoggiò alla ringhiera, cercando di controllare il respiro. Non era soltanto la balbuzie che lo rendeva inadatto alle interazioni sociali. Aveva cominciato l’università quando era ancora un adolescente, troppo intelligente e goffo per riuscire a farsi degli amici. I suoi studi gli avevano sempre fatto compagnia e le persone si erano allontanate sempre di più dalla sua considerazione. Tenere il mondo alla larga voleva dire non doversi preoccupare del giudizio degli altri. Accidenti, vorrei che funzionasse sul serio.
Sentì delle voci e alzò lo sguardo per vedere tre uomini che percorrevano il marciapiede che correva lungo l’edificio. Tutti e tre lo stavano guardando. Uno dei professori del dipartimento di Inglese diceva qualcosa nascondendosi dietro una mano, un altro sembrava scioccato e il terzo – che aveva un’espressione impossibile da interpretare – era l’uomo che Llewellyn aveva visto ballare con un fondoschiena perfetto la notte prima, a quasi trecento chilometri di distanza.
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