I cowboy non lo dicono

I cowboy non… (Libro 1)

Rand McIntyre ha deciso di accontentarsi nella vita. Ama il suo piccolo ranch in California e allevare cavalli, e adora insegnare a cavalcare ai bambini, ma per averne di suoi e avere accanto qualcuno da amare dovrebbe ammettere di essere gay, mettendo a repentaglio tutto quello che ha costruito. Poi, un giorno, nonostante la fobia degli aerei, va in vacanza con i genitori a Hana, nelle Hawaii, e conosce l’affascinante e misterioso Kai Kealoha, un autentico cowboy hawaiano. Rand si affeziona al fratellino e alla sorellina di Kai tanto quanto si infatua di lui, ma Kai sembra avere più aculei di un porcospino e più segreti dell’esotica terra da cui proviene.

Kai ha sempre mantenuto la sua riservatezza e vive per proteggere i suoi “bambini”. Per il bene di tutti dovrebbe starsene alla larga da quel bellissimo cowboy, ma visto che si tratta solo di un haole che sta facendo una breve vacanza, che potrebbe mai succedere? Quando le più terribili paure di Kai e gli incubi peggiori di Rand si avverano nello stesso momento, non c’è molta speranza per due cowboy che non possono, o non vogliono, dire di essere gay.

Informazioni sul libro

Data di pubblicazione 22 augusto 2017
Edito da Dreamspinner Press
Conteggio parole 62.907
Pagine 200

Formati disponibili
eBook (ISBN 978-1-64080-016-8)

Copertina di Reese Dante
Traduzione di Claudia Nogara
Edizione originale
Cowboys Don’t Come Out by Tara Lain

Estratto

 

RAND LANCIÒ un cappello da baseball nel borsone sopra ai pantaloni corti, poi estrasse del lubrificante dal comodino accanto al letto. Magari non fosse solo una pia illusione. Fissò l’enorme vibratore rosa che la sera prima aveva usato ben cinque volte. L’idea di una settimana del (ma senza) cazzo in compagnia dei suoi genitori nella loro idea di paradiso tropicale avrebbe spinto chiunque a masturbarsi. Afferrò il vibratore, chiuse il cassetto e lo nascose nella tasca del cappotto invernale, nell’armadio. Non aveva intenzione di lasciare che la domestica lo trovasse per caso. Alla fine lanciò lo stesso il lubrificante nella borsa, gli sarebbe potuto tornare comodo per una sega d’emergenza.

Tirò fuori un’altra camicia a maniche lunghe con i bottoni a pressione in metallo. Che vestiti aveva che potevano andare bene a Maui? Una domanda ancora migliore era: che c’entrava lui con Maui? Il cellulare iniziò a vibrare come a voler sottolineare la domanda. Arrivo, mamma. Afferrò il telefono. “Ciao. Sono per strada. Quasi.”

“Randall, muovi il sedere. Siamo praticamente all’aeroporto. Non puoi perdere il volo se vogliamo incontrarci a Kahului per raggiungere assieme Hana.”

“Sto per partire. Ci sarò, non ti preoccupare.”

“Lo sai quanto io e tuo padre siamo felici di trascorrere le vacanze con te, finalmente.”

Giusto, giochiamo la carta della madre amorevole. Certo, lei era una madre amorevole, e quello era l’unico motivo per cui si stava affrettando per riuscire a prendere quell’aereo. Tenendo conto di quanto fosse terrorizzato all’idea di volare, quello dimostrava che voleva bene a sua madre più della sua stessa vita. Ovvio, lei non sapeva della sua fobia. Non sapeva tante cose. “Ci vediamo questo pomeriggio.”

“Non vedo l’ora. Baci.”

Lanciò un’ultima occhiata al borsone da viaggio e lo chiuse: si sarebbe fatto bastare i vestiti che aveva già messo dentro. Dopo aver preso gli stivali dal fondo dell’armadio, si sedette per indossarli, pensando intanto che in qualche modo sarebbe sopravvissuto a quella ‘vacanza di famiglia’, la prima da sedici anni, da quando lo avevano portato a Disney World quando ne aveva dieci. Dio, quanto aveva odiato quel viaggio. Aveva desiderato con tutto il cuore di andare in vacanza in un vero ranch, ma sua mamma si era convinta che avrebbe adorato Topolino e amici. Zero intuito materno. Dopo il disastro di quell’estate i suoi lo avevano spedito in maneggio tutti gli anni ed erano andati in vacanza per conto loro mentre lui non c’era. Quelle estati avevano segnato il corso della sua vita, nel bene e nel male.

Spense le luci della camera e trascinò il borsone fino alla porta d’ingresso. Afferrò d’istinto il suo cappello Stetson dal gancio accanto all’ingresso e se lo mise in testa prima di guardarsi alle spalle. Addio casa. Ci rivedremo presto, se sopravvivrò.

Uscì nella fredda aria mattutina, lasciò il bagaglio sul portico del ranch e si affrettò verso le stalle. Manolo e Danny stavano strigliando i cavalli per i cavallerizzi del mattino.

Il basso e tarchiato Manolo si vedeva appena dietro al grande castrone, ma alzò gli occhi allegri su di lui. “’Giorno, patron.”

Rand si tese in avanti e strinse una spalla a quell’impertinente. “Dunque, stamattina devono arrivare Scot e sua mamma, e più tardi gli Anderson. Il resto della settimana è piuttosto tranquillo, quindi non dovrebbero esserci problemi, speriamo bene. Ho avvisato tutti i nostri allievi e le loro famiglie e non ho fissato appuntamenti con ospiti per la settimana. Sono stati tutti piuttosto comprensivi dato che è Natale.”

Danny sorrise, mettendo in mostra le fossette, che sommate ai capelli biondo rossicci, le lunghe gambe e l’acume lo rendevano l’apice della bellezza cowboy, come Kevin Costner in Silverado, sveglio e bellissimo. Da quando l’aveva assunto, Rand si sforzava di vederlo solo come amico. Danny offrì una carota a Star Sight, il grande palomino. “Non ti preoccupare, amico. Ci pensiamo noi. Certo, la signora Anderson sarà molto delusa per la tua assenza, ma dubito che per questo smetterà di far venire a lezione il suo angioletto.”

“Vedete di essere gentili con Ricky, ok? Il ragazzo è portato, ma è davvero ansioso.”

Manolo fece l’occhiolino. “È davvero gay, altroché.”

Rand si accigliò. “In ogni caso, è convinto di fare schifo. Andateci piano con lui.”

Manolo annuì. “Scusa, non volevo sembrare uno stronzo, ci prenderemo cura di lui.”

“Grazie. A entrambi. Se avete bisogno di una mano in più, chiamate Judy e Beth. Stanno entrambe morendo dalla voglia di aiutare.”

Manolo sbuffò. “Stanno entrambe morendo dalla voglia di vedere il culo di Danny. O il tuo, se è nei paraggi.”

“Dovranno vivere senza il mio culo questa settimana.” Rand si incupì. E tutte le future settimane.

Danny si asciugò la fronte con un braccio e ricondusse Star alla stalla. “Ti conviene andare, capo, o tua mamma finirà per farsi venire un diavolo per capello.”

Manolo diede un colpetto con il gomito a Rand. “Le andrebbe bene anche un diavolo come nuora se le desse dei nipotini.”

“Già. Miseria, dovrò ascoltarla lamentarsi tutta la settimana che non ho voglia di sistemarmi e di darle dei nipoti. Non invidiatemi per questo viaggio. Chiamatemi se avete bisogno, anche se dubito che la ricezione sia un granché. Vi manderò il numero dell’hotel per sicurezza, in modo che possiate contattarmi in caso di emergenza.”

“Tu speri che ne capiti una solo per poter tornare prima.” Manolo ridacchiò.

“Non tentarmi.” Si voltò, corse a recuperare il borsone e saltò nel pick-up. Lì si era creato la vita che voleva, più o meno. Ma perché doveva andare alle Hawaii?

Un’ora e mezza più tardi, trovò posto nel parcheggio a sosta lunga di Sacramento. Dopo aver trascinato il culo su un autobus, aver pagato venticinque ridicoli bigliettoni per il bagaglio e aver subito una perquisizione che l’aveva lasciato semi nudo a causa dei rivetti dei jeans che continuavano a far suonare il metal detector, riuscì finalmente a sedersi al suo gate e si mise ad aspettare, annodando in continuazione la cinghia del bagaglio a mano in preda al nervosismo.

“Il gruppo tre può iniziare l’imbarco. Gruppo tre.”

Il suo cuore iniziò subito a battere talmente forte che temette di svenire. Non gli faceva paura l’idea di morire, ma il pensiero di cadere da un punto più alto della sella di un cavallo era un incubo. Afferrò il cappello e si mise in fila. Fingiti indifferente all’idea di volare. Fingi già per tutto il resto.

Si trascinò, grande e grosso com’era, lungo il corridoio fino a raggiungere il suo posto, mise il bagaglio nella cappelliera e accennò un saluto verso l’anziana signora seduta accanto a lui, inclinando il cappello prima di riporre lo Stetson sopra al bagaglio. “Signora.” Era probabilmente sull’ottantina, quindi l’avevano fatta imbarcare per prima. Poteva anche avere i capelli grigi ma gli occhi le brillavano di vitalità e spirito.

Rand prese posto e si allacciò la cintura così stretta che fu un miracolo che il suo uccello non si lamentasse per la mancanza di circolazione.

La signora sorrise e gli porse la mano. “Cielo, sono proprio fortunata. Mi chiamo Althea Orwell.”

“Rand. Rand McIntyre.”

Lei iniziò a chiacchierare amabilmente, ma metà del cervello di Rand ascoltava ogni ronzio, colpo e sferragliamento che l’aereo produceva mentre veniva caricato. Quando le hostess spiegarono le misure di sicurezza, afferrò la scheda nella tasca davanti per leggerle in contemporanea. La signora Orwell lo fissò seria. “La maggior parte di queste istruzioni non servono a un granché. Onestamente, se finissimo in acqua, non avremmo molte speranze nonostante quello che dicono. Comunque, fa bene sapere dove sono le uscite e come indossare il giubbotto di salvataggio.” Seguiva con un dito la procedura mentre la registrazione spiegava i passaggi.

Lui fece un respiro profondo valutando se quella candida ammissione lo facesse sentire meglio o peggio. Paradossalmente stava meglio. Annuì.

Mentre l’aereo accelerava e iniziava a sollevarsi, la vecchia mano della signora si appoggiò sul suo braccio teso e rimase lì. Quanto male ti senti a farti confortare da un’anziana signora? Sorrise debolmente. Non tanto male quanto mi sentirei se non ci fosse.

Cinque maledette ore e mezza dopo, deglutì per la cinquantesima volta mentre l’aereo si faceva strada attraverso gli alisei per raggiungere Kahului. Era venuto fuori che la signora Orwell stava facendo visita alla figlia a Maui. Per fortuna non aveva smesso di parlargli un secondo da quando erano partiti, per cui non aveva avuto il tempo di pensare alle condizioni in cui si trovava il suo stomaco. Gli aveva raccontato del matrimonio disastroso di sua figlia con un militare che la maltrattava, di come l’avesse lasciato e avesse sposato un altro uomo della stessa risma che però, grazie al cielo, sembrava una persona per bene e un buon lavoratore e si prendeva cura di lei e dei loro tre figli, quando non era imbarcato come in quei giorni, così lei la stava raggiungendo per darle una mano con i piccolini e…

“Sei sposato, caro?”

Alzò la testa di scatto. “Oh, ehm, no, signora.”

“Un gran bel ragazzo come te, ho idea che un sacco di donne abbiano provato a prenderti all’amo.”

Lui alzò una mano per toccarsi la falda dello Stetson solo per accorgersi di averlo lasciato nella cappelliera, così finì per toccarsi la fronte invece. “La ringrazio molto, signora.” La cadenza da cowboy era difficile da perdere. “Non ho ancora trovato quella giusta.”

“Quanti anni hai?”

“Ehm, ventisei.”

“È ora. Cerca di accasarti e fare qualche bambino che ti terrà compagnia nella vecchiaia. Ci si sente soli altrimenti.”

Miseria, non c’è bisogno di essere vecchi per sentirsi soli. “È un buon consiglio, signora. La ringrazio.” L’aereo sussultò. Lui afferrò i braccioli del sedile con tanta forza che le nocche gli diventarono bianche.

La signora Orwell gli accarezzò il braccio. “Non ti preoccupare. Questo genere di saltelli sono perfettamente normali, niente da temere.”

Lui deglutì. “Mi ha solo preso alla sprovvista, tutto qui.” Cercò di staccare le mani un dito alla volta, ma l’aereo ondeggiò e sbandò di nuovo e l’istinto prese il sopravvento. Strinse forte. Non respiro! Ancora una volta, si ritrovò su quella maledetta scogliera, intento a fissare il vuoto, sapendo che sarebbe bastato per ucciderlo, mentre quella voce derisoria contava alla rovescia i secondi che mancavano alla sua morte. Tre. Due. Uno.

Ma pensavo… pensavo…

“Rand, caro, respira. Va tutto bene. Non a tutti piace volare. Stringimi la mano e respira a fondo quest’orrenda aria riciclata che finirà per ucciderci molto più facilmente di uno schianto.” Gli strinse con forza la mano e lui la lasciò fare. “Ehi, non mi capita tutti i giorni di tenere per mano un bel fusto come te.” Gli appoggiò un dito caldo sul petto, proprio sopra al cuore. “Rilassati proprio qui e inspira.”

La gente mi sta guardando mentre mi rendo ridicolo? Nessuno sembrava prestargli attenzione. Si concentrò sul calore del suo tocco e lasciò che si espandesse fino allo stomaco. Aria. Bene.

Lei ritrasse la mano. “Ecco fatto.”

Le sorrise. “Grazie infinite, signora. Da piccolo ho avuto, ehm, un incidente che mi ha reso antipatiche le grandi altezze.” Gesù, sua madre gli avrebbe mollato uno scappellotto a sentirlo parlare con quella cadenza esagerata da cowboy, ma i suoi clienti l’adoravano.

“Abbiamo tutti le nostre paure, niente di cui vergognarsi. Allora, ho parlato io tutto il tempo. Dove andrai di preciso a Maui?”

“Ehm, Hana.”

“Ah, ovvio.” Si diede un colpetto sulla gamba. “Hana Ranch. È logico, visto che sei un cowboy! Hai in programma tante cavalcate e catture al lazo?”

“No, signora. Devo incontrare i miei genitori. Stanno all’Hana Maui Hotel.”

“Beh, ma com’è carino da parte tua! Passare del tempo in famiglia. Ho sentito dire che è un bellissimo hotel. Ho idea che passerai più tempo a prendere il sole che a cavalcare.” Ridacchiò. “Non che mi dispiacerebbe vederti in azione.”

“Signora Orwell, mi fa arrossire.”

Lei rise. “Una delle cose più belle dell’avere la mia età è che non devi più preoccuparti di quello che dici.”

Rand le sorrise. “La invidio molto.”

L’aereo barcollò e lei si allungò per prendergli la mano. Lui la afferrò e strinse. Quando la turbolenza finì, le chiese: “Ha un cellulare?”

“Certo. Vuoi chiamarmi per fare il volo di rientro assieme?”

“Mi piacerebbe. Ma no.” Lei gli passò il telefono. “Sto aggiungendo il mio numero in rubrica. Se mai potrò ripagarla aiutandola per qualcosa deve solo chiamare, va bene?” Le restituì il cellulare.

“Cielo, cielo, è bello avere un’àncora di salvezza.” Gli tenne stretta la mano per il resto del traballante atterraggio a Kahului.

Quando scese dall’aereo dovette combattere il desiderio di baciare il terreno. Si accontentò, invece, di un respiro profondo di quell’aria dolce, umida e fragrante. Si diresse verso il ritiro bagagli esterno con la signora al fianco e i due bagagli a mano di lei a tracolla. Decorazioni festive addobbavano i fiori tropicali e i cespugli.

“Randall.” Sua madre percorse quasi di corsa il piccolo spazio affollato che li separava. Indossava pantaloni bianchi di lino e una larga camicia blu di seta, attenta come sempre al vestiario. Gli gettò le braccia al collo. “È così bello vederti, caro. Hai fatto un buon volo?”

Da sopra la testa della madre guardò la signora Orwell, che gli fece l’occhiolino.

“È andato bene. Mamma, ti presento la signora Orwell, l’ho conosciuta in aereo.”

Sua madre le porse la mano. “Felice di conoscerla.” Il papà di Rand riuscì finalmente a raggiungere la moglie; lei lo prese per mano. “Questo è mio marito, Elson.”

La signora Orwell strinse la mano anche a lui. “Avete proprio un bravo ragazzo. Mi ha rassicurato molto averlo accanto in aereo.”

Rand sbuffò e cercò di dissimulare il rumore con un colpo di tosse prima di abbracciare suo padre.

“Felice di vederti, Rand.”

“Altrettanto, papà.”

Una piccola orda di donne avvolse la signora Orwell. Tra queste c’era la figlia, con l’aspetto vagamente stressato.

“Mamma.”

“Nonna.”

Dopo un giro di presentazioni, la figlia e le due ragazze più grandi presero i bagagli da Rand. La signora si voltò per sfiorargli una guancia. Lui dovette abbassarsi un pochino per lasciarglielo fare. “Spero che passerai una fantastica vacanza, caro. Chissà, magari stavolta troverai la persona giusta. Io spero di sì, non importa chi sarà.”

“Poco probabile, signora, ma la ringrazio del pensiero.”

“Oh, va bene, ma ricorda: il modo migliore per trovare la persona giusta è quello di non affidarsi alle prime impressioni.”

“Le auguro una bella vacanza con la sua famiglia.”

Lei ridacchiò. “So capire quando qualcuno sta cercando di liquidarmi. Abbi cura di te, Rand. Qualcuno là fuori sarà molto fortunato ad averti.”

Mentre si allontanava con le nipoti aggrappate a lei, sua madre commentò: “È proprio particolare.”

“Già.”

“Sembrava dispensare consigli molto liberamente.”

Lui sorrise. “Già.”

Dopo mezz’ora desiderava già disperatamente di riavere accanto la signora Orwell e i suoi consigli mentre il piccolo aereo a sei posti diretto a Hana ballonzolava nel cielo. Trattenne il respiro, si morse la lingua e fissò lo sguardo fuori dal finestrino in modo che nessuno potesse vedergli il volto, che doveva essere bianco come il latte dato che si sentiva freddo come il ghiaccio. Grazie a Dio ondeggiarono e dondolarono solo per mezz’ora prima di atterrare su una piccola pista. Riuscì a non vomitare mentre smontava dall’aereo, ma dovette deglutire parecchio. “Ho sentito dire che la strada che porta a Hana è uno spettacolo. Magari al ritorno potremmo andare in macchina?”

Sua madre annuì. “Che bella idea! Ci faremo impacchettare un pranzo al sacco e andremo con tutta calma.” Non gli importava molto della lentezza, quello che contava era l’altezza.

Suo padre gli diede un colpetto sulla schiena. “Godiamoci la vacanza prima di organizzare la fine.”

“Sissignore.”

Al piccolo terminal trovarono i loro bagagli e notarono un robusto hawaiano con un cartello con il loro nome sopra. La camicia esibiva il logo dell’Hana Maui. Sua mamma fece un cenno di saluto e l’uomo si avvicinò. “Salve, siete voi i McIntyre?”

“Sì.”

Lui estrasse da una borsa tre lei di orchidee viola e ne mise uno al collo di ciascuno di loro. “Aloha! Benvenuti a Hana e a Hana Maui. Io sono George.”

Rand sorrise.

“Ti aspettavi forse un nome tipo Kamehameha?” George ridacchiò.

“Esatto.”

“Non ti preoccupare, brah. Ecco qui Noelani Uluwehi, al tuo servizio.”

“Molto meglio.”

“Chiamatemi George. Ora, lasciate che vi porti alla vostra casa lontano da casa.”

George lanciò i loro bagagli nel baule di un’auto come contenessero piume, poi aiutò i suoi genitori a salire a bordo. Rand prese posto davanti e osservò il panorama dal finestrino mentre George guidava verso nord. Le acque del Pacifico scintillavano oltre i prati verdi e i piccoli edifici. La sua immagine mentale di fiori, cascate e foreste lussureggianti non si era avverata: Hana si sviluppava su grandi pascoli, come casa, solo che erano decisamente più verdi e con molti più alberi. “Non lo chiamano Hana ranch per niente.”

“Già, brah. Nel 1946 iniziarono con quasi seimila ettari di terra e una mandria di Hereford provenienti da Molokai. Sono cambiati parecchi proprietari da allora. Se guardi bene, si vedono ancora tracce del ranch, ma ora è più che altro un hotel.”

Dopo soli quindici minuti, George entrò nel vialetto di un edificio basso, ricoperto in pietra e situato proprio accanto alla strada, ma dal lato vicino all’oceano. Un cartello discreto diceva Travaasa Hana Maui Hotel.

Rand rimase accanto al padre mentre questi dava la mancia a George e organizzava il trasferimento dei bagagli a un fattorino. Dall’altro lato della strada, un po’ all’interno, si vedeva un rustico edificio in legno, chiaramente chiuso nonostante le insegne della birra promettessero delle serate divertenti.

George seguì il suo sguardo. “È un bar per cowboy. Ti ambienterai subito. È aperto solo nel fine settimana però, domani sera.”

“Cowboy hawaiani?”

“Sì, gli originari. I paniolos.”

“Davvero?”

“I nostri cowboy discendono direttamente dai vaqueros messicani. Voi della terraferma avete imparato dopo.” George sorrise rivolto al club. “Ormai restano solo pochi paniolos veri, ma chiunque è il benvenuto lì. È un ambiente piacevole e diverso dal ristorante esclusivo di Hana Maui.”

Rand lanciò una nuova occhiata all’edificio silenzioso. Chi l’avrebbe detto? Mentre suo padre parlava con il fattorino, seguì sua mamma nella lobby all’aperto. Un bellissimo asiatico che indossava pantaloni neri e camicia hawaiana venne loro incontro da dietro il bancone. “Signora McIntyre, che piacere vedere di nuovo lei e suo marito.”

“Altrettanto, signor Yamata. Questo è mio figlio, Rand.”

Si strinsero la mano, sua madre completò il check-in, e suo padre arrivò giusto in tempo per saltare sul golf cart che li condusse oltre alla porta sul retro. Ok, siamo davvero alle Hawaii. Eleganti cottage in legno, raggruppati in un bosco fitto di alberi, cespugli e fiori, erano rivolti verso un ampio prato verde e il tutto portava verso un precipizio direttamente sopra all’oceano. Una piscina abbelliva il prato.

“Niente spiaggia?” Inclinò il capo rivolto a sua madre.

Lei scosse la testa. “La spiaggia è a una breve passeggiata lungo la strada, e in macchina si fa ancora prima. La sabbia è nera, te ne innamorerai.”

Il fattorino gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Se vuoi andare alla spiaggia da qui, devi toglierti i vestiti.” Scoppiò a ridere.

La madre di Rand lo imitò, poi gli si spiegò, sorridendo: “C’è una spiaggia nudista, una piccola baia davvero carina con la sabbia rossa, proprio oltre la collina. Non sei costretto a spogliarti, ma devi aspettarti che gli altri lo facciano. Per quanto mi riguarda, io preferisco i panini di pesce sulla spiaggia dell’hotel con il mio costume addosso.”

Il fattorino si fermò accanto a un cottage adorabile, appollaiato proprio sul bordo del precipizio, con una vista mozzafiato. “Signori McIntyre, dato che questo cottage ha il panorama migliore, il signor Yamata lo ha tenuto per voi. Purtroppo non è grande abbastanza per tre persone. Il signor Rand dovrebbe usare quel cottage.” Indicò un edificio più piccolo, leggermente nascosto dal primo. “Se preferite stare tutti assieme, c’è un cottage con due stanze matrimoniali disponibile dall’altro lato dell’hotel.”

Rand trattenne il fiato. Sua mamma guardò il marito. “Che ne pensi, caro?”

Suo papà alzò le spalle. “Rand è grande. Immagino che gli farebbe piacere un po’ di privacy, inoltre è difficile battere un simile panorama.”

Sua madre annuì. “Allora stiamo qui.”

Rand lasciò andare lentamente il fiato mentre il fattorino iniziava a scaricare le valigie dei suoi dal cart. Camminò fino all’orlo del burrone e fissò l’oceano irrequieto. Un bar per cowboy e una spiaggia per nudisti: Hana si stava rivelando più interessante del previsto.

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